Che Carlo Michelstaedter fosse ammalato di depressione, privilegio consentito a chi ha il padre alla direzione dell’ufficio delle Assicurazioni Generali di Trieste, possiamo soltanto supporlo. Che abbiano influito su di lui letture di autori dal padre indolente e dalla madre di uterina autorità, quali ad esempio Leopardi, anche.
Le sue considerazioni teoretiche a proposito del concetto di violenza e di pòlemos (forse non come lo intende Hitler nel Mein Kampf), ma come lo intende Umberto Curi nel libro dal titolo appunto pòlemos, ossia come un conflitto anteriore ai confliggenti, possono però essere lette alla luce di questo particolare contesto autobiografico.
Senza contare che Michelstaedter dimostra un atteggiamento nei confronti del circostante a sé tipico di quelli che si attaccano e fanno propria una zona, violenta, sublime, profonda, del mondo greco.
Non è che per caso la violenza è culturale? La matrice, la sua genesi è la cultura di un certo tipo di popolazione violenta e aggressiva di certo impostasi su altre popolazioni di stampo più pacifico? Non lo so. Ma so che tra poco non avremo neanche più esempi dal mondo animale cui riferirci. I bonobo muoiono continuamente di crepacuore. Sono animali che non confliggono, e che –Freud direbbe– scaricano le loro pulsioni aggressive (se ne hanno) in mete di tipo sessuale. E se fossero le nostre umane pulsioni sessuali ad essere scaricare in pulsioni aggressive?
-Elena! Ti voglio.-
-Non puoi avermi.-
-Uccido tutti. Bruci la città che ti ospita!-
-Patroclo, dove sei?-
-Sono morto.-
-Odio e disprezzo anche per il corpo di chi ti ha ucciso!-
La violenza è una condizione facile, la pace appare come una creatura debole, auspicata da tutti ma da nessuno attuata. Peccato che sia molto più facile vivere senza confliggere, e dunque affidarsi all’indolenza. Anche per questo si crede alla via da conquistare rispetto a quella che magari è per natura. Mi sto perdendo. Il ragionamento è sito prima, molto prima di tutto ciò. Prima di vedere l’indifferenza e l’apatia dei giovani, il loro pressappochismo nei confronti di ciò che li circonda e la non-voglia di saperne qualcosa in più, perché tanto non sarà mai vero abbastanza.
–E per quei manifestanti che cercano di ottenere dei risultati? Come è accaduto che fossero raggiunti, ad esempio trai più recenti, il voto per le donne? Come li definisci?-
–Come dei burattini.–
–È per questo che non manifesti? Che sei così indolente? Fosse per te brucerebbero le streghe. Non sopporto chi vive degli sforzi altrui. Non sopporto l’affitto. Ma nemmeno faccio dell’amore per il prossimo un cattivo amore per me stesso. La tua mente è ferma, come quella di un giovane che vive in una baraccopoli del Kenya, che si è appena comprato un iPhone, che ha un futuro come tantissimi altri, che potrebbe organizzarsi e invadere la città vicina dei ricchissimi e dei ricchi più ricchi, farla sua (o loro, ma i ricchi non sarebbero d’accordo tranne nel mulino che vorrei), vivere meglio (o comunque non vivere peggio) e festeggiare, mentre preferisce invece snobbare i suoi coetanei che vengono dalla parte “bassa” della slum?-
A questo conflitto io posso gridare moralisticamente di sì! Ma questa è prassi.
Invece, tornando indietro, non è che per caso la violenza è culturalmente alimentata da un forte senso di appartenenza strisciante? La riproduzione è naturale, ma la violenza? Spostandoci in natura, prendiamo le lumache e i bonobo, li avete mai visti duellare? I felini sì, ma sono un tipo tra tanti tipi. Non è che per caso gli uomini per via della cultura greca si sono convinti di essere violenti per natura? O meglio, di essere autocoscienze –per dirla alla hegeliana- che prima dell’incontro sperimentano la dimensione dello scontro/conflitto?
Erano pastori d’altro canto, chi col gregge più grande, chi meno. Non si può pretendere che conoscessero il messaggio cristiano vivaddio.
Ma perché privilegiare la personificazione della violenza a quella della volontà? Perché scontro anziché incontro? Perché mettere in atto una dialettica servo-padrone anche nel semplice dialogo? Ma la si tiri fuori dal cilindro della dialettica quando si tratta di giustificare il sopruso del proprietario del terreno sull’usufruitore dello stesso, ad esempio.
-Scusi che ore sono?-
-Si compri un orologio.-
-Me l’ha appena rubato lei!-
-Ecco, appunto. Vede che ho ragione?-
Sono molte le X per natura che si è tentato invano di giustificare, quando per natura pare soltanto il coito; per citare –non alla lettera- Schopenhauer.
Hegel e Locke insieme appassionatamente, davano addirittura alla proprietà privata valore di naturalità. Perché? Perché l’uomo dopo essersi posseduto, possiede l’esterno. Aspetta. Da quando l’uomo si impossessa di sé? Da quando l’illusione glielo fa credere, magari. Quindi dopo, per quanto riguarda l’esterno, può illudersi di comprare un’isola come Jhonny Depp? Nessun uomo può possedere un’isola. Neanche se tutti gli altri uomini riconoscono ciò, annuendo compiaciuti come grassi banchieri dopo una speculazione andata a “buon” fine.
Non è per caso che la convinzione dell’essere confliggenti per natura è il placebo che fa veramente diventare l’uomo un essere così poco evoluto? E pensare che dovevamo andare oltre l’uomo.
In determinati periodi storici, a causa di cattive e menzognere credenze, si pensava che gli esseri umani fossero una specie soltanto eterosessuale. Certo. Non distinguevano ancora il pinguino maschio da quelli femmina (i pinguini formano anche famiglie omosessuali senza alcun risentimento o protesta religiosa, meno che meno i trichechi), oppure non ne avevano proprio visto mai uno. Certo. Non avevano alcuni strumenti. D’accordo. La domanda dunque è se noi abbiamo gli strumenti per sondare questa tradizione di violenza per violenza e di abbandonarla al suo destino animalesco?
All’inizio del corso di Storia della Filosofia Contemporanea si chiese agli studenti –definite “violenza”–, senza pretendere per forza una boriosa ricerca del fondamento ontologico del concetto preso in esame. Io risposi: –Uno strumento dalle ripercussioni sia fisiche sia morali che attiene all’animalità dell’essere umano–, sottintesi –Di sicuro un essere umano che si sia scrollato di dosso certi atteggiamenti di certi animali (non è il caso dei bonobo) o che non li abbia neanche mai conosciuti/esperiti tali atteggiamenti per merito della fiorente situazione familiare, saprà smettere di usare violenza per ottenere dei risultati, saprà andare oltre l’animale, oltre l’uomo-animale–, magari smetterà di ottenere dei risultati nell’immediato. E magari poi lo crocifiggeranno.
La mia domanda è se per caso non sia la tradizione greco-arcaica a portarci nella direzione del Grande Male. La Grande Salute, che è il volere la perdita dell’orizzonte di senso e la perdita dell’orizzonte come orientamento, scaturisce davvero da un apollineo vietarci la vita? O, d’altra parte, da un dionisiaco logorarla così velocemente?
La violenza è per natura?
Rispondo sì e giustifico ogni sopruso. Dagli Achei che riducono in schiavitù gli abitanti dell’isola di Melo, ai lager, ai gulag, alla violenza sulla donna perpetrata col favore dell’ombra della notte, allo stupro del bambino che, indifeso, non può che subire il potere del più forte (Era la madre a doverlo proteggere! Ancora con queste leonesse. Ma si guardino i fenicotteri che adottano i cuccioli di altri fenicotteri!).
La legge di natura è davvero così? Oppure questa legge di natura è quella che si vuole far credere, che il potere vuole far credere che sia? Non è che stiamo giustificando il potere andando contro natura? In fin dei conti la natura è per la sopravvivenza e di certo non sopravvive bene un bambino traumatizzato in tenera età. Immagino che in futuro si possa comunque riprodurre, ma quale sarà l’esito probabile oltre al suicidio? Davvero physis è contraria alla generazione delle cose che crescono?
Non voglio essere presuntuoso come qualche mio coetaneo. Nella mia ricerca sarò pronto, forse un giorno, ad accettare di essere io l’ammalato di pacifite e a riconoscere che tutti gli altri son sani, a riconoscere che invece per la razza umana è naturale un approccio alla vita s-velatamente polemologico.