Le istituzioni dello stato di natura secondo chi non ha capito nulla.

Il gallo non canta più perché vien strozzato dalla ruvida donna di campagna.

Simplicio spiegava il creazionismo «Il mondo poggia sull’elefante e l’elefante poggia sulla tartaruga.» Allora su cosa poggia la tartaruga? E perché Venere non ha il campo magnetico?

Perché Venere è amore?

Perché le misurazioni fin’ora condotte sono prevalentemente spettrografiche e la massa di Venere è troppo fumosa per permettere una rilevazione adeguata?

Domande per chi ha paura della scepsi.

Cavalli impazziti belano nello stato di natura.

Che schifo la natura.

È tutta colpa della physis. Grazie physis d’esserci! Altrimenti come faremo noi col nostro Esserci ad esserci? Come faremo ad invecchiare? A ripeterci nella generazione? A decadere?

E la pecora bagnata -che ho visto, era belata– mangiava erba squisita. Squittiva.

Il bonobo rantolante è il nostro Dio. Occuperà lui il trono! A lui le nostre prossime riflessioni morali!

I bonobi rantolanti gemono sordidi nei confessionali.

Gli uomini finalmente si sono estinti.

Cavalli impazziti gridano e sputano addosso ai lama durante l’ipotesi di lavoro mai-esistita-che-mai-esisterà altresì detta stato di natura.

E le cavalle coalizzate con le vacche uccidono i puledrini -protetti invano dal bue di m***a defecato dal tirannosauro- e ne fanno sfilacci morbidi e deliziosi che gusteranno le teste di cazzo di toro.

Altre cavalle si gassano in cucina a trentacinque anni.

Sono i germi del male, il quale -senza società- può proliferare dando origine alla società.

Che il libello di Hobbes sia tanto più inattaccabile logicamente quanto più sia inutile e quanto più gli sia riconosciuto il merito di aver derivato e giustificato il concetto di sovranità, è chiaro! La mistificazione logica sta nel fatto che nessuno sarà mai una cosa sola. Non posso mentire sempre. Non posso sempre dire la verità. Ancora una volta si totalizza la discontinuità, fallendo.

Mistificazione logica ridicola, mio caro. Ci vuole πρᾶξις.

Prendi Filmer, lui si è nascosto sotto il suo saio, dopo essersi accorto che il suo concetto di potere giustificato da una discendenza patriarcale è stato sgretolato da una lautreamontese martellata-spacca-cranio. Quanto è ridicolo un sovrano che eiacula il suo popolo? Certo, trattasi di una analogia, come il padre col figlio, così il sovrano con il popolo. Non significa certo che il sovrano debba andare di fiore in fiore senza preservativo. Il padre ha diritto e potere sul figlio solo perché è suo padre, quando in effetti il padre non sceglie il figlio e il figlio non sceglie il padre. Allora diremo che ne ha diritto perché ci conviene e ci convive giorno dopo giorno ed è più grande di lui, ma allora il fratello maggiore? E se il padre non è mai presente? (cosa che accadeva non di rado in passato) E perché continuiamo a non comprendere le donne? Eppure la regina Elisabetta -o se potessero ghigliottinarla solo per i cappelli- è immortale. No. Io ho diritto su di te perché tu sei stato nelle mie p***e. Nei miei scroti. Eri viscido e succulento sperma. Non disperarti, lettore, lo eri anche tu!

Vogliamo vivere in un mondo che si giustifica sulla discendenza di sperma? Fate pure ma Locke resta il meno peggio dei leccasanti.

Federico

L’errore della legge di natura

Sopravvive non il più forte ma il più adatto

(il testo è una riflessione di quanto avevo 17 anni, siate clementi)

I media riversano su di noi un’enorme quantità di cronaca nera, approfondendo, spesso e volentieri, con dovizia di particolari, i dettagli violenti delle vicende.

Senza voler riportare le parole del Papa che nel corso di un “Angelus” condanna l’eccesso di violenza presente nella cronaca nera prevedendo degli effetti di “assuefazione alla violenza” nella gente, è da dire che per quanto riguarda tale modalità di riportare le notizie, alcuni giornalisti, non tanto tempo fa, l’hanno definita “inutile”.

In realtà si è visto come la cronaca, che riporta fatti di omicidi e violenze private, alimenti un tipo di “morbosità noir” (Cogne, Scazzi, e via dicendo) che è simile a quella propria degli appassionati lettori di polizieschi.

Ad ogni modo la violenza nella nostra società è un fatto quotidiano, si esprime in molti modi e a vari livelli. Nel senso che esiste sia la violenza prepotente dell’individuo egotista, che ritiene le sue ragioni di importanza superiore a quelle dell’umanità in toto, e si fa largo a spintoni, sia la violenza indicata come psicologica e subdolamente esercitata nel quotidiano da più lingue.

La violenza dunque ci tocca da vicino, ne siamo sempre a contatto.

Che la violenza sia insita nell’uomo è una credenza comune e diffusa. Proprio perché la conosciamo giornalmente, siamo portati a credere che questa sia parte naturale ed integrante della società, che sia nata con la nascita dell’uomo e per questo motivo la si può sì combattere, ma non la si può sconfiggere.

Ci dicono e ci ripetono che le guerre e i massacri si perdono nella notte dei tempi, che l’antichità era un periodo storico di gran lunga più violento del nostro, e che una volta molti più cari venivano strappati via dai loro familiari. È un dato di fatto che la violenza sia presente e riconducibile ad un bisogno preumano di possesso [Hobbes] di denaro, di ricchezze, terre, potere, onore, gloria e chi più ne ha più ne metta. Ma tutto ciò è ben lungi dall’avere a che fare con la natura e la sopravvivenza della specie. Verga è forse uno dei più fieri sostenitori della teoria della sopravvivenza del più forte, originatasi proprio a partire dall’800 e sviluppatasi dalle teorie di Darwing, che pur essendo esatte scientificamente, non sono riconducibili a violente conclusioni estreme, quali quelle portare avanti dalla concezione del “darwinismo sociale”.

L’idea sostenuta da quest’ultimo, infatti, è di una visione del mondo troppo semplicistica e lineare nella quale i più forti vincono, ammazzano i deboli e si riproducono, rinforzando così la società e prevenendone l’estinzione.

Oggi sappiamo che non è così, oggi possiamo leggere il “Se questo è un uomo” di Primo Levi o “Il diario di Anna Frank” e comprendere appieno come una tale visione del mondo sia esageratamente riduttiva e sfoci in nazionalismi ciechi e violentissimi guidati da mostri tra i quali si annovera in primo luogo: Adolf Hitler.

In ogni caso lo spietato antagonismo sociale professato è una concezione superata, ancora prima di essere ideata e formulata, sul piano teorico da Locke (‘600) con argomenti filosofico-razionali. Se presumiamo l’uomo prima della nascita della società di diritto, della civiltà e delle leggi, in una condizione (mai esistita) di “stato di natura”, notiamo che l’uomo è governato da una sola legge (lex naturae), notiamo che possiede un unico diritto (ius omnium in omnia) e che è costantemente in pericolo e quindi sotto pressione, perché la violenza è all’ordined el giorno, in quanto “homo homini lupus”.

È possibile che la minaccia continua e quotidiana di subire atti di violenza, da parte ad esempio di chi ti vuole rubare la mela che stai mangiando e per questo ti percuote senza ritegno, o di dover far subire atti di violenza perché costretti, ad esempio, dalla fame, sia una situazione risk-free?

Davvero noi riteniamo questo il modo migliore di garantire a sopravvivenza della specie= Dalla contraddizione si esce facilmente con in “contratto sociale” stipulato da tutti gli individui e che preserva (almeno in via teorica) i diritti innati di tutti.

Il darwinismo sociale, inoltre, è stato superato recentemente anche dal punto di vista scientifico con alcune teorie ad hoc fra le quali spicca quella riportata da Dawkins nel libro “Il gene egoista”. La violenza non è innata, naturale, necessaria (semmai lo è l’egoismo, ma anche su questo ci sarebbe da ridire), bensì un pesante fardello retaggio della nostra condizione preumana di animali pelosi altresì detti primati od ominidi (ad ogni modo poco diversi dalle scimmie per l’aspetto).

I nostri geni, fin dalla comparsa delle prime cellule presenti nel “brodo primordiale” (espressione coniata dallo stesso scrittore), hanno cercato e ricercato vari modi al fine di sopravvivere, perpetuarsi e preservarsi come tali nel tempo. Ora i nostri geni, da una abbondante manciata di decine di migliaia di anni a questa parte, essendo già organizzati in organelli, organi, apparati, ecc., grazie alla facoltà di pensare, alla “ratio” presente nel cervello e situata in una zona ben precisa, ricca di connessioni e popolazioni neuronali, vogliono che noi capiamo che la violenza che circonda la nostra vita non è funzionale, è pericolosa e non intendono più, nel modo più assoluto, dover correre questo rischio patetico e primitivo.

Oltretutto, moralmente parlando, la violenza, in qualsiasi forma essa si esprima, è sbagliata, fin da quando è nato il concetto di moralità.

Verga, e con lui altri, professa la staticità delle classi sociali; nel Mastro Don-Gesualdo (secono romanzo de “Il ciclio dei vinti”) condanna il protagonista per la sua volontà di ascesa sociale. “Sei nato mastro e rimarrai mastro, anche se possiedi ricchezze in quantità superiore a ogni altro nobile ed anche se sposi una nobile. Prova a modificare lo status quo delle cose e morirai solo dopo aver vissuto nell’asia da infelice.” La condanna del Verga è durissima, almeno tanto quanto per noi è difficile leggere fra le righe veriste una qualche sorta di denuncia sociale, che pure è presente [cfr Franchetti-Sonnino 1877].

È terribile pensare ad una società talmente arretrata da accettar ela violenza semplicemente per il fatto che è, che esiste, punto.

Rosso Malpelo “le busca” perché rispetto agli altri è ad un gradino più basso della scala sociale, ed allora questi “altri” si permettono di sfogare violentemente la loro rabbia su di lui, a causa probabilmente della loro rispettiva condizione; in un panorama vizioso appartenente ad un contesto che appare insanabile.

In realtà noi abbiamo appena capito bene che la violenza, oltre ad essere eticamente e moralmente condannabile, oltre a non essere giustificabile, non è umana e se scaturisce lo fa perché invocata da istinti preumani risvegliati dall’esasperazione.

Abbiamo capito che, anche se è riconducibile, in qualche modo, all’istinto di sopravvivenza, esercitandola di otterrebbe, a lungo andare, l’effetto opposto: l’estinzione.

Ecco perché gli gnu non vivono nelle città, anche se riescono in linea di massima ad organizzarsi in bianchi ed ecco perché nemmeno i cavallucci marini hanno una codice civile e morale che abolisce e condanna la violenza ed ecco perché non hanno delle loro colorate città nelle profondità marine (almeno per quanto noi ne sappiamo).

Noi abbiamo potuto capire che senza violenza sopravviviamo al meglio e che quest’ultima non è necessaria, loro no.