“Quando una banca può controllare la sovranità degli Stati, il brivido del delirio di potenza è amplificato dall’elemento negativo che accompagna questo genere di sottomissione.”
Continuano i dibattiti e le riflessioni per il cinquecentenario dalla pubblicazione del Principe di Niccolò Macchiavelli.
Macchiavelli se non altro ha indagato a fondo alcune dinamiche della politica e orientato i suoi studi senza morale.
In un brillante saggio M. Ricciardi sostiene che Macchiavelli nell’opera I Discorsi preferisse Roma e la sua struttura sociale all’oligarchica Venezia, perché Roma aveva quell’unità sociale che era garantita da istituzioni come il tribunato della plebe e aveva il cittadino armato pronto a difenderla e anche ad espanderla.
Venezia, invece, si serviva dei mercenari per proteggersi e questo ovviamente avrebbe consentito la diffusione della corruzione e pertanto alla decadenza. Se i soldi fossero il corrispettivo della passione.
L’autore del Principe pone il lettore di fronte molte constatazioni di un realismo schiacciante. Il suo intento era quello di prodursi in un’analisi lucida e forse un po’ cinica. Oppure anche lui era guidato da alcune particolari passioni.
È vero che una certa disposizione d’animo alla decadenza vede nello spirito di Venezia un esemplare sottile e raffinato. La Serenissima Repubblica non è solo espansione mercantile. È risvoltino dell’opulenza. A onore del vero un ampliamento di carattere militare diffonde lo stesso cultura, lingue, usanze, costumi, ma è grezzo, non è subdolo come un colonialismo economico.
Quando una banca può controllare le sovranità statali, il brivido del delirio di potenza è amplificato dall’elemento negativo che accompagna questo genere di sottomissione. Anche Des Esseintes si imponeva sulla realtà esterna e sul suo corpo, ma non di certo alla maniera di un atleta olimpico.